Ero rimasto da solo, nella stanza che si affacciava sulla vallata. Attraverso la grande vetrata in fondo alla sala, intravedevo le luci lontane del paese brillare nell’oscurità. Ripensavo a quello che ci eravamo detti, a quello che non avevamo avuto il coraggio di dirci.

Presi in mano il fiore che lei aveva lasciato sul tavolo prima di andare via e lo avvicinai al viso. Emanava un profumo che non avevo mai sentito prima. Sapeva di oriente, di notti stellate, di rosa e di magnolia. Era caldo, inebriante. Mi lasciai avvolgere da quelle note seducenti e profonde, dalle sensazioni ancestrali che quel profumo ridestava in me. Lasciai che immagini e ricordi riaffiorassero dai meandri più nascosti della mia memoria, che le emozioni mi invadessero lentamente e prendessero il sopravvento sulla mia parte cosciente. Non opposi alcuna resistenza quando il mondo esterno sembrò sfumare in un’indefinita nebulosa che aveva i colori caldi della terra, mentre una piacevole sensazione di tepore pervadeva il mio corpo.

Mi sedetti al tavolo e rimasi immobile a contemplare l’andamento sinuoso e serpeggiante delle venature di legno che disegnavano un inestricabile groviglio di linee e segni indecifrabili sulla sua superficie. E mi persi nella vertigine della visione.

Vidi un’immensa foresta equatoriale di mangrovie che avvolgeva un antico continente, vidi il delta ramificato di un fiume, ampio e sconfinato, che riversava le sue acque calde e brulicanti di vita in un oceano primordiale, vidi un dedalo di vicoli angusti che si addentravano tra le alte mura di fango di una città yemenita immersa nell’oscurità. Vidi ladri e mercanti levantini, guerrieri spietati e donne bellissime dagli occhi scuri come la notte. Vidi antiche mappe medievali, terre inesplorate, pergamene miniate. Vidi fiumi, montagne, mari, isole. Vidi me stesso e tutte le mie possibili vite. Mi vidi nomade errare inquieto per mare e per terra alla perenne ricerca di risposte, divorato da un fuoco interiore che non dà tregua. Vidi me stesso bambino e poi vecchio. Vidi le albe e i tramonti della mia vita. Vidi i volti delle donne che avevo amato, vidi i loro corpi fremere di passione, così diversi eppure così simili. E solo in loro trovai momentanea quiete. Poi, lentamente tornai in me. E mi ripresi dalla vertigine.

Uscii dalla camera e mi ritrovai nel grande salone. Le due donne che mi avevano accompagnato all’incontro mi condussero fuori dal palazzo. Dopo avere percorso un lungo sentiero alberato ci ritrovammo in un’ampia radura dove scorreva placido un fiume. Stava albeggiando. Mi resi conto di avere perso completamente la nozione del tempo.

Sentii all’improvviso delle voci femminili provenire dal fiume e guardai nella loro direzione. Riconobbi le creature che avevo visto nuotare intorno a me la sera precedente e mi diressi verso di loro.

Alcune di loro nuotavano, altre, dove l’acqua era più bassa, erano intente a una sorta di gioiosa danza pagana. Una di loro lasciò il gruppo, avvicinandosi alla sponda del fiume, ed emerse dalle acque. Era di una bellezza luminosa. Mi chinai verso di lei. Il volto liscio, gli occhi grandi e verdi s’immersero nei miei. Mi cinse il collo con le braccia e mi avvolse in un profumo mai sentito che mi inebriò. Mi lasciai scivolare nell’acqua insieme a lei. Fu come essere avvolto da una miriade di mani, braccia, gambe, capelli che si muovevano intorno, mi accarezzavano, mi venivano a cercare. Sentivo i loro corpi flessuosi che mi sfioravano.

Poi lei uscì dall’acqua tenendomi per mano e una volta sulla riva cominciò a correre, facendomi cenno di seguirla. La rincorsi e la raggiunsi. L’abbracciai e ci lasciammo cadere ai piedi del bosco. Il suo corpo fu scosso da un tremito che si trasmise a me e mi ottenebrò i sensi.

Il tempo se ne andava come sabbia. Secolare, nell’ombra, fluì l’amore e per la prima e ultima volta possedetti l’immagine di Ulrica.” (Jorge Luis Borges)

Au réveil il était midi’. (Arthur Rimbaud)

(FINE)

Le altre parti del racconto le trovi qui:

Nàiadi (1 parte) – Balconi barocchi

Nàiadi (2 parte) – Bisce d’acqua

Nàiadi (3 parte) – Dialogo

Giovanni Boldini, Reclining Lady, 1905