Ci sono quadri che sembra siano lì ad aspettare te. Ti chiamano, sussurrano, bisbigliano. Ti parlano ancora prima di essere visti o anche solo immaginati. Tu sai che esistono da qualche parte del mondo, in un luogo e in un tempo definiti, anche se non sai dove, né se li incontrerai mai. Ne ignori la presenza ma avverti inconsciamente la necessità della loro esistenza. Ma soprattutto ne avverti la mancanza nella tua vita.

Agitano il tuo mondo interiore in modo indefinito. Suscitano aspettative, desideri, attese per qualcosa che ancora non ti è chiaro ma che sai dovrà essere soddisfatto.

E poi accade che finalmente vi incontriate. Per caso. O forse no. E l’incontro è sempre un colpo di fulmine, un’infatuazione, un innamoramento, una rivelazione che lascia un segno indelebile nella tua vita e nel tuo immaginario.

Così è stato per me anni fa, la prima volta che vidi la ‘Bambina che gioca su tappeto rosso‘ (1912) di Felice Casorati.

Ricordo che all’inizio rimasi rapito dalla decorazione di quel tappeto rosso fiorito che si estende a perdita d’occhio nello spazio, come in certe rappresentazioni quasi astratte dell’arte giapponese.

Poi il mio occhio venne attratto dalla figura della bambina che giace mollemente distesa su quello spazio infinito, assorta nel suo mondo interiore, intenta ad accarezzare con placida indolenza il suo cagnolino, circondata da una moltitudine di giocattoli sul tappeto.

Solo a quel punto, quando il mio sguardo venne catturato dalla moltitudine di oggetti in primo piano sparsi sul tappeto, quasi privi di profondità, mi resi conto del forte impianto prospettico e della struttura compositiva dell’immagine basata sulla prospettiva accidentale.

Il corpo della ragazza è allineato lungo la linea prospettica del punto di fuga di sinistra, mentre l’effetto del sole che entra dalle finestre poste alla sinistra dello spettatore (finestre alte e grandi che non vediamo, ma che intuiamo esserci proprio dal gioco di riflessi sul grande tappeto rosso) disegna una trama di luci e ombre che si proiettano lungo l’altra linea prospettica di destra.

E lo sguardo dello spettatore continua ad oscillare senza posa, ora intento ad ammirare la trama e i decori del tappeto, ora i giocattoli e gli oggetti in primo piano, ora l’impianto prospettico, ora la delicatezza dell’espressione malinconica della bambina che lascia già presagire i turbamenti e le inquietudini dell’adolescenza e dell’età adulta.

Su tutto aleggia un’atmosfera di silenzio e mistero, in uno spazio sospeso in una dimensione atemporale e metafisica che incanta e ammalia. E che mi è venuta in mente, per quelle strane associazioni del pensiero generate dagli stati emotivi più umbratili e sfuggenti della nostra coscienza, per la sottile e ambigua atmosfera di questi giorni, che sa di feste finite e ricordi, intrisa di malinconia e rimpianti.

(Felice Casorati, ‘Bambina che gioca su tappeto rosso’, 1912)