29 giugno 2011- mercoledì – Neist Point e Elgol
Mi sveglio poco dopo le sette. La luce del sole rischiara la mia camera da quasi tre ore, filtrando dalle spesse tende delle finestre. Oggi è l’ultimo giorno che sto da Tim e Grace. La cosa mi dispiace un po’. Mi ero affezionato alla casa e al posto. Faccio colazione, scambio quattro chiacchiere con Tim, che fa il fotografo e organizza workshop di fotografia sull’isola di Skye. Ci lasciamo con una mezza promessa di rivederci.

Oggi parto per il Duirinish diretto al faro di Neist Point, nell’estrema parte occidentale dell’isola.
Durante il percorso mi fermo molte volte a scattare delle foto nelle splendide baie e insenature che si incontrano dopo il castello di Dunvegan.

Una volta imboccata la “single track road” che conduce a Neist Point mi avventuro per una stradina di 10 miglia, strettissima e in bilico fra dirupi e scogliere a picco sul mare. Quando finalmente arrivo a Neist Point sono le dieci di mattina.

Il cielo è coperto, c’è vento e fa freddo. Il termometro dell’auto, che ho parcheggiato in una zona protetta dal vento, segna 12 gradi all’esterno. Sulla sommità del promontorio, con le forti raffiche che spirano dal mare, saranno molti di meno. Mi dirigo verso il lunghissimo sentiero a picco sul mare che conduce al faro, attraverso centinaia di gradini che scendono giù fino alla scogliera.

Lo spettacolo, anche se il cielo è ancora coperto dalle nuvole, è davvero straordinario. In lontananza decine di pecore pascolano indisturbate con i loro agnelli, abbarbicate sulle verdi pendici della collina. Sulla cima del promontorio ci sono ancora i resti della vecchia funicolare che riforniva di vettovaglie il personale del faro.

Una volta arrivato giù mi dirigo verso la scogliera a picco sul mare, dove vivono centinaia di gabbiani e altri uccelli marini che volano riempiendo l’aria di strepiti. Mi affaccio con un misto di eccitazione e timore. Lo spettacolo della scogliera e delle onde del mare che si infrangono sulle rocce, quasi un centinaio di metri più giù, mentre una moltitudine di uccelli vola alla ricerca di cibo, è di una bellezza selvaggia e quasi terrificante.

Proseguo per il faro. Il sentiero è di nuovo in salita e curva leggermente. Sul versante opposto della costa si può ammirare l’imponente promontorio di Waterstein Head che si specchia nelle acque di Moonen Bay. Una volta giunto in cima ecco il faro di Neist Point stagliarsi all’improvviso contro il blu intenso del mare e l’azzurro del cielo.

Il faro fu costruito nel 1909 e rimase in funzione fino al 1990. Poi nel 2005 le autorità navali inglesi decisero di disattivare anche tutte le sirene antinebbia del Regno Unito, ormai rese obsolete dalle nuove tecnologie. La grande sirena antinebbia del faro di Neist Point, ormai in disuso, si erge ancora a grande altezza dalle rocce della scogliera e si protende verso il mare, quasi a sfidare la potenza delle onde come un’antica polena sulla prua di una nave.

Un secondo sentiero che parte dal faro conduce ad una piccola insenatura più protetta che serviva come approdo per le imbarcazioni, con ancora ben visibili le attrezzature che servivano per rifornire via mare il faro.

Ma il vero spettacolo è il lato ovest della costa, estremo avamposto occidentale dell’isola. Una vasta scogliera basaltica a picco sul mare con incredibili formazioni rocciose di origine lavica, nere e lucide, sulle quali l’acqua marina, asciugando, lascia ampie zone interamente ricoperte di sale.

Il mare è di un blu cobalto intenso, scuro e il cielo adesso è azzurro, di un nitore quasi accecante. Seguo i gabbiani e il loro volo nel cielo. Mi addentro solitario nella scogliera di basalto, camminando verso il mare. Sono nell’estremità occidentale dell’isola. Di fronte a me solo l’oceano e il vento. La sensazione è molto forte, intensa. Rimango lì una ventina di minuti ad ammirare l’orizzonte e il panorama.

Poi fotografo dei minuscoli e bellissimi fiori che crescono a poche decine di metri dal mare, fra le rocce di origine lavica, le pozze di acqua salata e i licheni.Riprendo la via del ritorno. Quando arrivo al parcheggio sono passate tre ore dal momento in cui ho iniziato la discesa. Prendo l’auto e rifaccio la via del ritorno diretto a Broadford. Dopo circa sei miglia ecco apparire all’orizzonte il profilo inconfondibile dei monti Cuillin. Una volta uscito dalla “single track”, imbocco la strada per Sligachan.

Il paesaggio è un turbinio di colori. Non ho mai visto in vita mia uno scenario naturale con dei contrasti di luce così forti e drammatici, con dei colori così saturi.

La campagna circostante, fino ad arrivare alle vette dei monti Cuillin, perennemente coperte da nubi scure e minacciose, è una straordinaria tavolozza cromatica che copre tutte le tonalità dell’ocra e del marrone, passando dal blu fino al violetto e il nero.

Superata Sligachan prendo la strada per Kile of Lochalsh, destinazione Broadford. Anche qui lo spettacolo della baia dominata dai monti alti e scuri è di incomparabile bellezza. Finalmente arrivo a Broadford. Vado al B&B “Caberfeidh” che si trova in posizione panoramica di fronte alla baia principale, con il giardino e la vetrata della sala comune che danno direttamente sul mare. Dalla veranda c’è un cancelletto che permette di scendere nella spiaggia. La camera è molto più piccola di quella che avevo in precedenza. Ma in fondo devo rimanere solo due notti. Disfo le valigie, mi riposo mezz’ora e poi, verso le cinque, riparto per Elgol che dista poco più di venti miglia, ma che è collegata solo da una “single track road” strettissima e tortuosa.

Poco dopo aver lasciato Broadford mi imbatto nelle pittoresche rovine di una piccola chiesa del sedicesimo secolo, Cill Chriosd (“Christ’s Church”), abbandonata a metà dell’Ottocento, e che sorge su una collinetta adiacente a un bellissimo e piccolo lago dalle acque poco profonde, “Loch Cill Chriosd”.

Il tetto della chiesa è andato completamente distrutto, ma le mura di pietra sono ancora quasi intatte. Tutt’attorno alcune lapidi delle sepolture dei membri principali dei clan MacKinnons e MacInnes, che anticamente comandavano sull’area.

Loch Cill Chriosd”, a poche centinaia di metri dalle rovine della chiesa, è un’apparizione quasi da fiaba. Il lago sembra quasi luccicare e risplendere con le sue canne mosse dal vento, incorniciato fra le montagne nere e cupe. Vi regna una strana atmosfera di calma e silenzio, ma si percepisce come un alone di tensione e di mistero. Sembra un lago fatato, uno di quegli strani posti in cui sembra di avvertire un non so che di inquietante.

Scoprirò poi che anticamente si credeva che nelle sue acque vivesse uno spirito maligno che avvelenava l’acqua facendo soccombere le donne che venivano a lavare i panni e le persone e gli animali che la bevevano. Lo spirito, secondo le leggende locali, venne poi sconfitto da San Colombano, nel VI secolo, il quale benedisse le acque del lago che da allora in poi furono ritenute miracolose, dotate del potere di guarire malanni e malattie.

Riparto e proseguo oltre, diretto a Elgol. Dopo poche miglia di strada con un paesaggio dominato sempre dagli onnipresenti monti Cuillin mi appare all’improvviso in tutto il suo splendore “Loch Slapin”, una sorta di fiordo, una lunga e bellissima insenatura del mare che penetra profondamente nella terraferma sino a sembrare un lago. C’è una luce stupenda. Non cesserò mai di stupirmi come le condizioni di luce cambino così rapidamente nell’isola.

Mi fermo a scattare delle foto, poi continuo nel mio percorso. Adesso la strada si inerpica sempre di più in cima e sale di qualche centinaio di metri sul versante della montagna che prima avevo di fronte. La strada è davvero molto stretta, a precipizio sul lago, con curve e dossi che riducono di molto la visibilità. Ho un po’ di paura perché basta una minima distrazione per uscire di strada, e sono anche stanco delle fatiche della giornata. Ad un certo punto, quando secondo i miei calcoli dovrebbero mancare circa tre miglia da Elgol ma mi trovo ancora sul versante opposto della costa, mi viene il dubbio di avere sbagliato direzione. Ma non è così, la strada è quella giusta. Su quest’isola si perde facilmente la cognizione del tempo e dello spazio. Una volta giunto in cima, sulla costa opposta la strada inizia a ridiscendere. Sembra di essere arrivati alla fine del mondo. Non ho incontrato un’auto nell’ultima mezz’ora.

Finalmente arrivo a Elgol. Le condizioni del tempo sono cambiate nuovamente. Il cielo adesso è scuro e grandi nuvole nere incombono sul mare. Pioviggina, c’è vento e fa freddo. Il paesaggio è di una straordinaria potenza drammatica. Il porto è veramente piccolissimo e quasi deserto; mi chiedo come facciano a vivere in questo sperduto borgo. Di fronte al porto, sulla collina, c’è una piccola scuola elementare con alcuni giochi per bambini nel giardino. Il panorama è mozzafiato. Scendo e mi dirigo sulla spiaggia fatta di rocce nere e sassi enormi, rotondi e levigati.

Dicono che dalla spiaggia di Elgol si possano vedere i tramonti più spettacolari e drammatici di tutta l’isola di Skye e si goda della migliore vista sui monti Cuillin. Ed è vero, nonostante il cielo adesso sia coperto da nubi e pioviggini fittamente. Sulla spiaggia noto una villetta posta a poche decine di metri dal mare che gode di una vista straordinaria.

Poi, sotto il cielo scuro, vedo arrivare da lontano un piccolo peschereccio, attorniato da decine di gabbiani.

Fotografo l’arrivo e lo scarico del pesce e dei crostacei appena pescati e caricati immediatamente su un furgoncino, che riparte subito dopo, diretto ai ristoranti di Portree, sull’altro versante dell’isola. Osservo i pescatori, gente dura e coriacea, con visi scavati dalla vita aspra sul mare, facce d’altri tempi.

Alla fine, quando decido di ritornare a casa, mi accorgo che nonostante il freddo e il vento, sono stato quasi un’ora sulla spiaggia a godermi lo splendido panorama.

Finalmente arrivo a Broadford, chiamo le bambine dal cellulare (ad Elgol non c’era assolutamente campo, un posto completamente isolato) e poi cerco un posto dove cenare. Quando ritorno al B&B sono esausto, faccio una doccia e vado a letto poco prima di mezzanotte.