26 giugno 2011- domenica – Trotternish
Mi sveglio molto presto, prima delle sei, scosto le tende della finestra per guardare lo splendido panorama della campagna e mi accorgo con estrema sorpresa e sommo piacere che i caloriferi sono accesi. Mi ci appoggio sopra con tutto il corpo e mi stiro come un gatto per riceverne il tepore. C’è un grande silenzio fuori. Nuvole grandi e scure coprono il cielo. Piove. Un paio di conigli saltellano indisturbati nel giardino.

Mi vesto e vado a fare colazione. La mia prima, vera Scottish breakfast. La sala dove si fa colazione è molto grande e luminosa. Tim e Grace, i padroni di casa, sono dei tipi molto simpatici e un po’ alternativi. La grande vetrata posta di fronte alla tavola dà sulla campagna circostante. C’è un trabiccolo di legno che fa da mangiatoia per gli uccellini che lo affollano per cibarsi dei semi. L’ambiente emana un grande senso di armonia e serenità. In attesa che mi portino la colazione prendo una tazza di latte con il muesli.

Finalmente arriva la tanta sospirata Scottish breakfast. Un uovo fritto, due fette di bacon saltate in padella, funghi, due sausages, una fetta di black pudding fritto in padella (una specie di sanguinaccio, una salsiccia fatta con avena, grasso di rognone, cipolla e sangue di pecora o di maiale) e una fetta di hash brown, una sorta di frittella a base di patate grattugiate.

Mangio con gusto, mentre chiacchiero con Tim. Mi dice che lui è inglese, originario dello Yorkshire, e che si è trasferito a Skye affascinato dalla bellezza del luogo. Mi spiego adesso il motivo per cui parla inglese senza l’inconfondibile accento scozzese.
Mi godo la colazione e concludo con una bella tazza di caffè nero, lungo e forte. Dopo una colazione così sostanziosa mi sento in grado di affrontare il mondo con la grinta e l’energia di un guerriero.

Vado a cambiarmi d’abito per l’escursione e indosso i vestiti antipioggia e gli scarponi da trekking. Si parte per l’avventura, il mio primo giorno di esplorazione dell’isola di Skye. Ho deciso di iniziare dalla penisola del Trotternish, forse la parte più famosa e selvaggia, anche se distante solo una decina di miglia da Portree.

Adesso c’è una pioggia fitta e insistente e un vento che soffia a forti raffiche. Il cielo è plumbeo, carico di nuvoloni scuri. Esco da Portree, abbandono le sue caratteristiche abitazioni color pastello e i suoi giardini in fiore e mi inoltro con l’auto sulla A855, che in certi tratti diventa una “single track road”.

Se guidare a sinistra è già difficile su una strada normale a due corsie, farlo su una strada stretta a una sola corsia in cui passa con difficoltà un’auto e su un fondo stradale adatto ai fuoristrada, diventa una faccenda abbastanza impegnativa. Senza contare il fatto che questo lunghissimo e stretto nastro di asfalto si srotola fra precipizi, burroni, monti e scogliere a picco sul mare.

Lungo le single track road, abbastanza frequentemente, ci sono delle apposite piazzole di sosta (“passing places”) dove si può accostare per far passare le altre auto. Quando si incrocia un’altra auto, la prassi prevede che dopo ci si saluti sempre con un cenno della mano.

Finalmente, dopo alcune miglia, intravedo da lontano la sagoma inconfondibile dell’Old Man of Storr, la cui vetta è avvolta dalle nuvole. Le condizioni del tempo, la pioggia e il vento forte mi fanno desistere dal salire in vetta.

Decido di proseguire lungo la strada e di ritornare un altro giorno sullo Storr, quando le condizioni atmosferiche saranno migliori. Avanzo sulla stradina semideserta. Attorno a me solo pecore che brucano l’erba in equilibrio precario sui ripidi pendii e le pareti scoscese delle scogliere. Ogni tanto incrocio qualche auto.

Il paesaggio, sotto il cielo plumbeo e la pioggia fitta, è surreale. I colori predominanti sono il verde delle colline, il nero delle vette, il blu cobalto e intenso del cielo, le macchie bianche delle pecore fra i fiori fucsia e lilla.

Faccio la prima sosta nei pressi di Bearreraig Bay, una scogliera a strapiombo sul mare dove mi fermo a scattare delle fotografie. Poi risalgo in macchina e arrivo al sentiero che porta alle cascate Lealt Falls. C’è un vento fortissimo, piove, e c’è solo uno sparuto gruppo di intrepidi turisti, bardati come marinai a bordo di baleniere nei tempestosi mari del nord. Mi affaccio sulla scogliera a strapiombo sul mare e intravedo le gole dove scorre il fiume. Un paesaggio di una bellezza da mozzare il fiato, paurosa. Bisogna fare molta attenzione e tenersi ancorati bene con le gambe sul terreno per opporre resistenza alle raffiche di vento. Proseguo a piedi per un ripido e stretto sentiero che conduce verso la costa, su uno strapiombo.

Il rischio di precipitare giù non mi sembra un’eventualità così remota. Arrivo alla scogliera. È uno spettacolo: il mare, il vento, i colori sono incredibilmente saturi. Proseguo nel sentiero che conduce giù fino alla cascata. Lo guardo dall’alto per un po’, incredulo. In pratica è una ripidissima discesa a gradoni scavati nel fango, sul bordo dello strapiombo. Il vento soffia forte a raffiche e la pioggia battente mi sferza la faccia: guardo il sentiero e il precipizio, indeciso se procedere o no, poi penso alle mie figlie, e decido di rinunciare. Troppo pericoloso, soprattutto da solo.

Salgo in macchina e arrivo al sentiero che porta a Kilt Rock, dove c’è un punto panoramico da cui si può osservare l’omonima formazione rocciosa, così chiamata perché ricorda le pieghe del kilt. Da qui si può ammirare la Mealt Waterfall, una cascata che dopo un tuffo spettacolare di oltre 100 metri precipita e si infrange sulle nere rocce della costa, nelle acque della baia di Sound of Raasay.

Il posto ha una bellezza selvaggia e romantica ed emana una struggente malinconia. Mi accorgo solo allora di una solitaria panchina rossa rivolta verso il mare e il panorama della baia. Leggo la dedica incisa su una targhetta. Mi commuovo di fronte a quell’atto di amore che sfida il tempo e la morte.

Dopo Kilt Rock arrivo a Staffin, caratterizzato da cottage bellissimi e maestose ville, alcune delle quali decadenti e abbandonate, che non mi stanco di fotografare.

Uno strettissimo sentiero che percorro a piedi mi conduce al mare. La spiaggia, attraversata da un torrente, è sabbiosa e coperta da massi lucidi e neri che verso il mare sono completamente ricoperti di alghe gialle e carnose. Sullo sfondo, l’isola di Staffin si erge enigmatica come un monolito. Non c’è nessuno oltre a me sulla vasta spiaggia.

Riparto, è quasi l’una, cerco un posto dove mangiare, ma è domenica ed è tutto chiuso. Proseguo in auto lungo la strada, che nel frattempo è tornata ad essere a una sola corsia. Si intravede, minaccioso e scuro, l’alto e imponente massiccio del Quirang, la meta ambita dagli alpinisti esperti, che incute veramente timore con il brutto tempo e le sue cime scure avvolte dalla nebbia.

Proseguo per la “single track road” lungo la costa. Mi rendo conto che sto per addentrarmi in un’area completamente deserta e disabitata. Ho portato con me dei biscotti e ho acqua e benzina a sufficienza. All’improvviso, poco prima di addentrarmi nel mezzo del nulla fatto di prati verdi e rocce di basalto, scorgo con la coda dell’occhio, come un’apparizione, una deliziosa casetta, una Tea House. Mi fermo e parcheggio.

L’interno è piccolo, ma molto curato e caldo. Mi accoglie in modo cordiale una ragazza bionda, esile, dai lineamenti fini e delicati. C’è una musica indiana in sottofondo, molto rilassante. Dentro ci siamo solo io e due coppie di quarantenni. Il camino è acceso e la ragazza di tanto in tanto mette della legna ad ardere sul fuoco. Fuori continua a piovere e a fare freddo. Ci sono 11 gradi. All’interno del mio caldo e confortevole rifugio tutto mi sembra così distante e irreale.

Ordino una tazza di tè nero affumicato “Lapsang Souchong” e una fetta di torta alle mandorle e uva passa. Guardo la pioggia cadere dalla finestra, sospinta dal vento.

Dopo circa mezz’ora, finalmente ristorato nel corpo e nello spirito, lascio a malincuore il locale e mi rimetto in auto per completare il giro della penisola e tornare a Portree. Sono ancora a meno della metà del percorso. Le distanze ingannano su quest’isola. Le stradine sono tortuose e lunghe e fare 10 miglia diventa un’impresa. Ormai sono stanco, il paesaggio adesso è quasi lunare e silenzioso. Arrivo alla costa a strapiombo sul mare con le rovine del castello di Duntulm. Scendo, il vento è fortissimo, la pioggia mi arriva diretta in faccia e fa quasi male per la violenza del vento. Non è possibile scattare delle foto in queste condizioni. Riparto.

Una volta superata l’estremità nord e passato sull’altro versante della costa, il paesaggio cambia completamente. Ricompaiono come per incanto le casette linde e i giardini curati fino ad arrivare a Uig, una cittadina importante dal cui porto ci si imbarca per le altre isole Ebridi. È veramente incredibile come il volto di quest’isola possa cambiare radicalmente dopo poche miglia. Skye è una sorpresa continua.

Adesso la strada è di nuovo a due corsie. Improvvisamente un’auto mi lampeggia ripetutamente con gli abbaglianti. Mi chiedo se per caso io stia invadendo l’altra corsia. Poi vedo e capisco. Una mandria di mucche e vitelli si muove nel bel mezzo della strada, tranquilli, indifferenti a tutto. Aspetto con calma che le mucche passino e poi riparto.

Dopo pochi minuti arrivo finalmente al B&B, e mi rilasso con una doccia calda. Esco nuovamente alle sette di sera per andare a Portree. Pioviggina ancora. In attesa di andare a cena ne approfitto per visitare la cittadina e scattare delle foto.

Dopo un po’ la pioggia sembra essere cessata, e il sole si affaccia a sprazzi, fendendo le nubi con bellissimi e scenografici effetti di luce. C’è vento e fa freddo, ma decido lo stesso di fare un giro nella zona del porto. Alla fine risalgo sulla collina. Vado a mangiare in un posto tipico e prendo una bistecca di manzo scozzese con funghi e una birra lager.

Quando esco dal ristorante sono le nove e mezza di sera. Il sole si è nuovamente affacciato tra le nuvole e illumina con la sua calda luce le abitazioni del porto. D’estate a queste latitudini il sole tramonta molto tardi, dopo le dieci di sera.

Entro nel pub “Isles Inn”, forse il più caratteristico e rinomato di tutta l’isola di Skye, dove si esibiscono spesso musicisti dal vivo. Stasera c’è un duo di chitarra e violino. Prendo un bicchiere di whisky Talisker e ascolto la musica. Il pub è pieno di gente, c’è una bella atmosfera piacevole e rilassata.

Esco verso le dieci di sera. Il sole non è ancora tramontato ed è di una bellezza da far male. Prendo la stradina solitaria single track che conduce al B&B. Ho il sole di fronte, basso sull’orizzonte, che quasi mi acceca. L’auto è inondata da una calda luce dorata che dona ombre lunghe e colori straordinari al paesaggio.

Alcune pecore pascolano sul ciglio della strada. Mi fermo, spengo l’auto lasciandola in mezzo alla stradina e mi metto a scattare delle foto. Non passa nessuno. È bellissimo. Guardo la campagna e le nuvole che corrono nel cielo.

Arrivo al B&B stremato dalla stanchezza della giornata ed entro in camera. Vengo avvolto da un mare di luce dorata, quasi accecante, che penetra dalla grande vetrata. Il sole sta tramontando di fronte a me, con bellissimi effetti di ombre e luci sulle colline lontane. Sono le 22.15 (23.15 in Italia).

Mi siedo alla finestra a godermi lo spettacolo. Alle 22.30 il sole tramonta, fra giochi di luce meravigliosi. C’è ancora tanta luce. Le nuvole corrono nel cielo, sospinte verso nord-est dal vento che spira incessante dall’oceano.