Eravamo arrivati in Val di Chiana subito dopo Capodanno per trascorrervi un paio di giorni all’insegna del sano e piacevole relax, ed ero animato dall’intenzione di scattare delle foto che fossero tipiche, paradigmatiche del paesaggio toscano così come si è codificato nel nostro immaginario: un insieme di luoghi ed elementi immediatamente riconoscibili e riconducibili all’idea stereotipata della campagna toscana, solare e allegra.
Invece ci siamo trovati davanti un paesaggio insolito e inaspettato: pioggia intermittente; freddo umido e pungente; dense nebbie mattutine che allagavano le valli; nubi scure e minacciose; borghi con piazze e vicoli quasi deserti; negozi di artigianato locale e di abbigliamento quasi vuoti, con i proprietari in tacita e rassegnata attesa di un avventore; chiese cupe, tetre, che odoravano di muffa e umido, che comunicavano un senso incombente di morte e decomposizione, il cui interno sembrava ancora risuonare dell’eco di un’apocalittica predica medievale contro il peccato e gli indicibili tormenti dell’inferno che attendono chi cade in tentazione e si abbandona ai piaceri della carne; cascine e casolari abbandonati con finestre e porte rotte, invasi dalla vegetazione, circondati da fango, sterpi e recinzioni divelte. Un’atmosfera statica di attesa e tensione incipiente che mi ha fatto venire in mente i racconti di H.P. Lovecraft con il loro carico di segreti inconfessabili.
Quando pensiamo al paesaggio della Toscana, e in particolar modo al territorio compreso fra le Colline del Chianti, le Crete Senesi e la Val di Chiana, vengono subito in mente i rilievi collinari ondulati e soleggiati raffigurati in innumerevoli fotografie, riviste e siti di viaggi e i tipici elementi che li hanno resi famosi in tutto il mondo: i viali alberati di cipressi, le strade sinuose che attraversano la campagna, le cascine e i casolari attorniati da vigneti e ulivi, le austere pievi solitarie a cui fanno compagnia querce maestose e sempreverdi cipressi, i piccoli borghi medievali adagiati in cima a un poggio.
Immaginiamo un paesaggio solare, dolce e a misura d’uomo all’interno del quale ogni elemento naturale e antropico sembra trovare la sua giusta collocazione e disposizione anche in termini spaziali e scenografici: pensiamo alle fughe prospettiche dei filari di cipressi, alle quinte teatrali degli avvallamenti e dei diversi piani colorati delle colline, ai sentieri sinuosi che si perdono all’orizzonte, ai casolari solitari incastonati in cima a un poggio.
Sembra quasi che il paesaggio debba costituire l’ideale prosecuzione in natura di quei principi di equilibrio compositivo, classicità e armonia che furono caratteristici dell’arte del Rinascimento, che in queste zone nacque e si sviluppò.
Nel nostro immaginario associamo all’idea della Toscana una certa qualità della luce e dell’aria che si concretizza in tonalità sature e squillanti di colore: le mille gradazioni di verde dei prati e degli alberi, i gialli accesi dei girasoli e del fieno secco, i caldi marrone e l’ocra della terra arata, l’azzurro terso del cielo, il bianco candido delle nuvole estive, il blu intenso dei corsi d’acqua increspati dal vento.
Eppure, dietro questa solare ed equilibrata bellezza, dietro questa eterna primavera, dietro il nitore apollineo e senza tempo al quale sembra essersi voluto inchinare il paesaggio stesso, si agita una natura inquieta e indomita, ribollono energie oscure, premono forze telluriche provenienti dal sottosuolo e dall’inconscio.
Dietro la compostezza e la classicità di Apollo, si agita e scalpita un mondo ancora più selvaggio e oscuro di quello di Dioniso.
La Toscana è anche la terra degli Etruschi, che tanta attenzione rivolgevano al mondo degli Inferi e del sottosuolo, alle divinità ctonie legate ai culti di dèi sotterranei, personificazione di forze sismiche e vulcaniche legate all’immortalità dell’anima, alla vita dopo la morte e al ciclo delle stagioni. “L’Apollo etrusco era assai diverso dal suo luminoso «prototipo» greco, e ne assumeva solo alcune caratteristiche parziali. E soprattutto si avvaleva di un’identità plurima, documentata da numerosi nomi ed epiteti, tra cui spicca quello di un oscuro dio dell’Oltretomba: Suri, il nero signore degli Inferi.”
Questa è la terra dei geyser, dei soffioni, dell’energia geotermica, è la terra delle terme di Saturnia.
La Toscana è una regione piena di leggende e di misteri. A Borgo a Mozzano c’è il ponte del Diavolo, costruito nel XII secolo, la cui ardita struttura e le sue arcate asimmetriche che sembrano sfidare la forza di gravità generarono la leggenda popolare che fosse opera del Diavolo. Ai confini con la Val di Chiana c’è il lago Trasimeno, che si intravede dalla rocca di Cortona: un posto magico che ispirò miti e storie fantastiche sin dall’antichità.
La Val di Chiana stessa, citata e portata ad esempio da Goethe nel suo Viaggio in Italia come esempio di classica e composta bellezza, salubrità e fertilità – «Non è possibile vedere campi più belli; non vi ha una gola di terreno la quale non sia lavorata alla perfezione, preparata alla seminazione. Il formento vi cresce rigoglioso, e sembra rinvenire in questi terreni tutte le condizioni che si richieggono a farlo prosperare.» – fu a lungo una regione malsana per tutto il Medioevo e parte dell’era moderna, terra di paludi malariche e stagni. Fu bonificata definitivamente solo alla fine del Settecento, durante il regno del Granduca Pietro Leopoldo I di Lorena.
Il contatto con questa dimensione nascosta, insolita e poco nota di una delle regioni d’Italia più conosciute e fotografate al mondo – tanto da essere citata spesso a paradigma dell’Italia intera – mi ha messo in un disposizione d’animo e di sensibilità particolare che mi ha portato a ricercare e cogliere gli aspetti più umbratili del paesaggio, cercando di rendere queste sensazioni nelle foto che ho scattato: una panchina vuota che fronteggia l’infinito oltre il muro; scorci di vicoli freddi e umidi che si aprono sulla valle invasa dalla nebbia; dettagli di muri scrostati; piazze deserte, quasi metafisiche; filari di cipressi neri; colline dai colori desaturati su cui incombono nuvole plumbee che a tratti si fendono lasciando penetrare squarci di luce fredda; spettrali cascine abbandonate; viali alberati dalle foglie color d’oro brunito.
Le foto sono state scattate a Montepulciano, Cortona e lungo la strada che collega i due paesi.